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Nostalgia dell'alba, Un piccolo prologo per Luise e Felicia (nella sezione vampiresca)

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view post Posted on 4/8/2012, 07:03




Questa storia nasce come "prologo" al rapporto tra i personaggi di Felicia e Luise che io e Amelia vogliamo ruolare nel nuovo contesto della Girandola.
Naturalmente, molte descrizioni e dettagli del contesto (e la stessa comparsa di Arthur nei panni di un ispettore, o la menzione di una sorella di Felicia) sono cose che ho buttato lì perché mi piacevano, ma, ovviamente, non sono in alcun modo vincolanti. E' solo che siccome il contesto mi ispirava così tanto non ho potuto trattenermi XD
In ogni caso, userò questa storia come base per la mia Felicia~

Un bacino (vampiresco) per Yuki che me l'ha betata e tante fusa per Amelia (e la sua Luise, uhuhuh) ♥





"Nostalgia dell'alba"






1. La cacciatrice sulla sponda del fiume.




Scura, incombente, la facciata della cattedrale non sembrava curarsi di dare ai viaggiatori il benvenuto che questi avrebbero forse potuto aspettarsi. Era notte ora, però, e le strade della città erano completamente vuote: l'imponente chiesa sembrava vegliare, volgendosi arcigna a chiunque avesse turbato la quiete delle tenebre.
A brillare in cielo erano rimaste solo poche stelle, piccole nell’oscurità plumbea che precede le prime luci dell’alba. Più fioco ancora era il candore della neve recente che copriva la piazza ed i gradini della cattedrale. Intorno, le strade della città erano tunnel di buio fitto, e nera era anche la figura che si muoveva silenziosa sull’acciottolato. La si sarebbe potuta scambiare per una delle sfuggenti ombre della notte, ma lasciava impronte ben visibili sulla neve che ricopriva la strada.
Giunta di fronte alla cattedrale, si fermò ad osservarla per qualche istante, scrutando le pozze nere che si annidavano nell’architettura complessa della facciata, come se aspettasse di vederle muovere. Sotto il cappuccio, la sua pelle era diafana nella notte, e l’oro delle ciocche di capelli che le circondavano il viso era sporcato dai riflessi argentei della neve.
Dopo qualche tempo, la figura volse i suoi passi e le spalle all'edificio. Non era lì per turismo, era a caccia - e la preda era, a sua volta, un cacciatore.
Del resto, la figura stessa era una potenziale preda del cacciatore – il doppio ruolo di entrambi rendeva quella una caccia ad armi pari, una lotta che non aveva un vincitore prestabilito.
Qualsiasi essere umano che si mettesse sulle tracce di un vampiro per ucciderlo, a meno che non fosse un folle, doveva essere forte, ben addestrato ed equipaggiato nonché consapevole del pericolo a cui andava incontro.
Luise Weilschmidt aveva ventiquattro anni, ed aveva passato metà della sua esistenza allenandosi e preparandosi per diventare ciò che era: una cacciatrice di vampiri.
Aveva un unico obbiettivo, abbattere le sue prede, ed i suoi migliori amici erano le armi da cui mai si staccava.
Ovunque andasse, non si aspettava il benvenuto di nessuno, se non il sorriso omicida delle sue prede, quelle zanne bianche che venivano snudate davanti a lei quando si avventava sul vampiro.

Era arrivata in città con l’ultimo treno della sera ed aveva trovato ad accoglierla solo la stazione semideserta, i passeggeri che si affrettavano verso l’uscita trascinando con sé i bagagli, quasi avessero paura di rimanere rinchiuse nell’edificio. Luise li aveva seguiti con più calma, in un certo senso contenta di tornare ad inspirare la fredda aria della sera. Dopo le lunghe ore passate rinchiusa nel treno che solcava la campagna innevata come un falco notturno, la possibilità di sgranchirsi le gambe era più che benvenuta.
L’indomani avrebbe dovuto incontrare l’ispettore che aveva richiesto la sua presenza in città, ed allora avrebbe appreso i dettagli del problema. Per ora, però, preferiva girovagare da sola per le strade, anche se non seguiva ancora una traccia precisa: stava solo esplorando, per farsi un’idea di che cosa la aspettasse.
Ormai aveva camminato per tutta la notte. Dal fianco della cattedrale si potevano imboccare diverse vie che scendevano verso il fiume, e Luise, per abitudine, s’infilò in quella meno illuminata. Se ci fosse stato un vampiro affamato da quelle parti, sarebbe forse stato indotto ad attaccarla; certo lei non era impreparata allo scontro. Uno spesso collare di cuoio borchiato le cingeva il collo, ed altri uguali le proteggevano i polsi: un vampiro avrebbe tentato di morderla, come prima cosa, in uno di quei punti, ma le sue zanne avrebbero dovuto scontrarsi con il metallo delle borchie appuntite. I vampiri potevano anche possedere una forza straordinaria, ma Luise non era da meno.
Mentre si addentrava nel vicolo, i suoi passi erano energici e misurati, rivelatori di un vigore fisico notevole, e di una grande sicurezza.
Silenziosa, arrivò sul fiume. Ad accoglierla c’era un cielo violaceo che iniziava impercettibilmente a schiarirsi, al di sotto scorreva l’acqua, pacifica. Inaspettata, però, era la sagoma che interrompeva la solitudine degli alberi sul lungo fiume, poggiata al parapetto. Luise portò automaticamente una mano alla cintura per afferrare la pistola, e non la lasciò nemmeno quando, avvicinandosi, distinse più chiaramente i contorni della figura, esile, avvolta in mantello di fattura semplice. In mano teneva un mazzo di fiori, ed aveva lo sguardo fisso sul fiume di fronte a lei.

“Non mi pare l’ora ideale per passeggiare da sola.” Commentò seria Luise, avvicinandosi.
La ragazza si voltò, sorpresa. Era giovane, più giovane di lei, pensò Luise, e la osservava con grandi occhi sbarrati.
“Non credete che sia pericoloso, andarvene in giro di notte?” rincarò la cacciatrice.
L’altra la osservò a lungo, immobile.
Istintivamente, Luise strinse le dita attorno alla pistola, ben nascosta sotto il cappotto. C’era qualcosa di strano in quella situazione, e Luise non amava farsi cogliere di sorpresa.
L’attimo dopo, però, la ragazza si mise a ridere. Era una risata quasi nervosa, come quella che si lascia andare dopo uno spavento, ma quando ancora non si è certi che il pericolo sia passato.
“Veramente la cosa più spaventosa che ho incontrato da quando sono uscita di casa siete voi, perdonatemi la franchezza. Be’, voi ed i ratti, naturalmente. Insomma, mi fanno sempre un po’ paura, topi e ratti, ed è incredibile quanti se ne possano incontrare a quest’ora per la strada! Dovrebbero esserci più gatti, in giro, quelli sono più graziosi…”
Luise non rispose. Cominciò invece a sentirsi in imbarazzo; la ragazza di fronte a lei la guardava con un misto di curiosità e timore, adesso, mentre si sistemava una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. Sotto il mantello di lana scura si intravedeva l’orlo di una gonna marrone, pesante, e degli stivali di cuoio, certo non nuovi ma tenuti con cura.
Luise si passò una mano tra i capelli biondi e corti, abbassandosi il cappuccio per rivelare i contorni del viso. Sapeva bene che il lungo cappotto nero non metteva a proprio agio i suoi interlocutori; se non altro, le borchie del collare erano ben nascoste sotto il bavero. Non le era ancora capitato di essere associata ai ratti, però.
“Vi è andata bene, allora.” Rispose semplicemente. Sicuramente a ragazza era stata fortunata ad incontrare una cacciatrice di vampiri, piuttosto che un vampiro.
A questo punto, Luise si aspettava quasi che l’altra, spaventata, scappasse, invece la ragazza chinò la testa da un lato, un’aria divertita negli occhi nocciola screziati d'oro.
“Potrei dirvi che anche voi dovreste fare attenzione, dopotutto, ma avete l’aria di saper badare a voi stessa.” Commentò. “Non preoccupatevi per me comunque, ero sulla via di casa. Mi sono fermata qui solo perché mi piace guardare il fiume prima del sorgere dell’alba. C'è una tale quiete! Però è anche un po' triste, ci sono così poche persone in giro, a quest'ora.”
Tornò a voltarsi verso il fiume. Sembrava tranquilla (nonostante la parlantina vivace), e Luise, inconsapevolmente, abbandonò la presa sulla pistola. A dire il vero, avrebbe potuto semplicemente proseguire per la sua strada e lasciarla lì, e invece si ritrovò ad osservare lo scorrere del fiume sotto di loro, poggiata al parapetto, lanciando qualche sporadica occhiata alla ragazza di fianco a lei.
Chissà, forse era una cameriera che doveva entrare in servizio la mattina presto – la cura dei suoi abiti, sebbene modesti, sembrava indicare una persona abituata ad un certo contegno.
I fiori che aveva in mano, però, costituivano un particolare curioso: erano in buona parte già sfioriti, e nonostante il mazzo fosse ancora compatto, perdevano foglie e petali.
“Vi piacciono?” chiese la ragazza, che non si faceva scrupoli a guardare apertamente in volto Luise.
“Sono appassiti.” Commentò Luise, che aveva niente di meglio da dire.
L’altra annuì. “Qualcuno deve averli buttati via, ieri sera, ma non sono ancora del tutto secchi, no? Mi sono detta, è un peccato che vengano gettati, se profumano ancora…” disse, parlando più a se stessa che non a Luise.
L’altra non seppe che rispondere. Almeno, si disse, non erano il regalo di qualche amante – non sarebbe stato carino, pensava Luise, regalare fiori appassiti.
Rimasero in silenzio per qualche istante ancora. Il cielo si stava schiarendo più in fretta adesso, e non mancava molto al sorgere del sole.
La quiete venne improvvisamente turbata da un brontolio sordo. La ragazza si mise una mano sullo stomaco, ridacchiando imbarazzata.
“Ah, scusate, ma mi viene sempre fame a quest’ora!”
Luise si voltò a guardarla sorpresa, ma non disse nulla. Che non avesse i soldi per permettersi un pasto? Questo avrebbe anche spiegato perché andava a raccattare dalle immondizie dei fiori mezzi appassiti.
“Ma ci sono momenti in cui è difficile mangiare…” proseguì l’altra, tra sé e sé, mentre si massaggiava ancora lo stomaco.
Ancora, Luise non seppe bene cosa replicare. Chiacchierare non era il suo forte, e a questo dialogo, in particolare, non sapeva come contribuire. La ragazza non stava chiedendo la carità né nulla di simile, sembrava solo aver deciso che parlarle fosse un buon passatempo.
“Sapete, mi piacerebbe guardare il sole sorgere.”
“Non manca molto all’alba, ora.” Rispose Luise, quasi soddisfatta di poter dare una risposta, per quanto piatta.
La ragazza scosse la testa. “Non posso rimanere a guardarla, però; anzi, sono già in ritardo. Grazie per aver scambiato qualche parola con me, comunque.”
Luise tornò a voltarsi verso il fiume, un po’ in imbarazzo.
“E grazie anche per questo.” Aggiunse poi l’altra ragazza sottovoce.
Prima che Luise potesse anche solo tornare a girarsi verso di lei per capire a che cosa si stesse riferendo, avvertì le mani dell’altra attorno alla sua nuca, mentre la attirava verso di sé e le si avventava con slancio sul collo – solo per ritrarsi, l’attimo dopo, con un gemito, le dita che si toccavano la bocca sanguinante ed un’espressione di dolorosa sorpresa sul viso. Dietro al bavero scostato del cappotto di Luise, ora, poteva vedere chiaramente il collare di cuoio e le punte metalliche che lo ricoprivano, ora picchiettate del suo sangue.
Luise fece per muoversi e reagire all’attacco, ma l’altra fu più veloce, ed istintivamente le gettò in faccia il mazzo di fiori. Accecata per un istante dai petali e dagli steli rinsecchiti, quando tornò ad aprire gli occhi la cacciatrice poté a malapena cogliere l’ombra dell’altra che svaniva oltre il cornicione di una delle case che sorgevano lungo l’argine.
Era stata maledettamente veloce.

Ormai sola sulla sponda del fiume, Luise provò lo strano impulso di puntare la pistola e sparare, anche se sapeva bene che, ormai, era troppo tardi. Rimase ferma ad osservare i tetti oltre cui era sparita la sua preda, e poi portò l’attenzione sui fiori che le erano rimasti. Si chiese se la vampira le avrebbe fatto la cortesia di lasciarli sul suo cadavere, se fosse riuscita ad aggredirla ed ucciderla.









2. “Vengo chiamata sempre e solo per un unico motivo”




Il giorno dopo, alle cinque del pomeriggio, Luise Weilschmidt si trovava al commissariato di polizia. Fuori era già buio, ma l’ufficio dell’ispettore era ben illuminato e, nella luce soffusa delle lampade ad olio, le guance di Luise sembravano meno pallide, spruzzate appena dell’oro della fiamma.
Aveva dormito gran parte della giornata, e si sentiva perfettamente in forma.
“Accomodatevi.” fece una voce atona proveniente dall’altra parte della stanza.
Al di là della scrivania piena di carte, affondato in un’ampia poltrona, l’uomo dai capelli biondo cenere la degnò a malapena di uno sguardo, mentre sorseggiava con attenzione la sua tazza di tè. Almeno non sembrava sorpreso dal suo abbigliamento, che molti, invece, trovavano stravagante.
Luise non batté ciglio – detestava i benvenuti affettati e melensi, in ogni caso – e si sedette su una delle due sedie di fronte alla scrivania. Erano piuttosto dure (sembrava che tutta la comodità fosse condensata nella poltrona dell’ispettore), ma a Luise non dava fastidio.
“Volete del tè?” fece l’altro, degnandola di una seconda occhiata, e forse ricordandosi che stava, dopotutto, parlando con un'ospite, per di più di sesso femminile.
“No, grazie. Sono qui per parlare di lavoro.” rispose lei, decisa ma pacata.
L’altro tornò a guardarla, sospirò e si tirò su, poggiando la tazza in cima ad una pila di schedari.
“Molto bene. Sono l’ispettore Kirkland, vi ho fatta chiamare…”
“Vengo chiamata sempre e solo per un unico motivo.”
L’altro la fulminò con lo sguardo, corrugando le grosse sopracciglia, ma Luise non si scompose. Semplicemente, preferiva saltare la parte noiosa e ripetitiva dei convenevoli.
“Sì, immagino di sì…” commentò lui storcendo lievemente la bocca.
Se c’era dell’ironia, Luise si sforzò di non coglierla.
“Comunque, è qualche settimana che questo vampiro ci sta dando dei grattacapi.”
“Quanti morti?”
L’ispettore incrociò le dita delle mani sotto il mento, sopracciglione sempre aggrottate.
“E’ questo il punto, niente cadaveri. Almeno, nessuno del quale siamo al corrente. Questo vampiro… anzi, questa vampira attira a sé le vittime, le morde e poi scappa. Il peggio che è successo loro è stato svenire per lo shock, ma nient’altro. La traccia del morso se ne va dopo qualche giorno.”
L’espressione di Luise non cambiò minimamente nel corso del racconto. Ciononostante, nella sua mente, la sua prossima preda aveva già un volto.
“Dove attacca, di solito?”
L’ispettore Kirkland aprì uno dei cassetti e, non senza qualche difficoltà, estrasse un’ampia cartina della città, che tentò di stendere sopra la scrivania, con l’unico risultato di creare avvallamenti e colline in quartieri che erano perfettamente in piano.
“Per lo più, bazzica nei bassifondi. Poche notti fa, qui è arrivato un tizio disperato e sanguinante, dicendo di essere stato adescato da una prostituta. Quando lei lo ha condotto in un vicolo per… consumare…” l’ispettore guardò Luise un po’ dubbioso, chiedendosi forse se avrebbe potuto parlare in modo più esplicito o se avrebbe fatto meglio a sorvolare, visto che si trattava pur sempre di una signorina… o no?
“Bene, ho capito.” Luise sventolò una mano per fargli comprendere che poteva anche risparmiarsi i particolari. “Indicatemi tutte le zone dove è stata avvistata, comincerò la caccia stanotte stessa.” disse, chinandosi in avanti per guardare meglio la cartina.

Quando uscì dal commissariato l’aveva con sé, ben ripiegata sotto il cappotto. Aveva un piano ben preciso in mente, ed un ritratto chiaro della sua preda davanti agli occhi. Era pronta per la caccia.


I bassifondi della città erano un vasto dedalo di vicoli che brulicavano di vita. Si potevano fare incontri sorprendenti, in posti del genere, immaginava Luise vedendo un signore dall’aria benestante uscire guardingo dalla sua carrozza, avvolgersi ben bene nel mantello per non mostrare i suoi abiti eleganti ed infilarsi alla svelta nel cortile interno di quella che doveva essere una casa di piacere.
Certo, ci si aspettava comunque di incontrare persone vive. Ma anche quello non era da dare per scontato, evidentemente.
Data l’ampiezza della zona da perlustrare, Luise sapeva che imbattersi immediatamente in una pista da seguire sarebbe stato praticamente impossibile, quindi non si stupì quando, passata la mezzanotte, si ritrovò ancora a girare per le taverne, evitando i gruppi di gentaglia ubriaca (per fortuna, dato il suo abbigliamento, la maggior parte non la riconosceva come appartenente al sesso femminile e di conseguenza non veniva infastidita) nella speranza di imbattersi nella prossima vittima del vampiro.
Se sperava di trovare una qualche traccia di sangue da seguire, o qualche povera preda che correva urlando di orrore per quanto le era appena accaduto, tuttavia, era destinata a rimanere delusa: qualche accenno di rissa in un vicolo, un giovanotto mezzo ubriaco che molestava una signora, un gentiluomo che si ritrovava derubato – ma quanto a mostri succhiasangue, la notte sembrava essere tranquilla.
Il tempo passava e strade e vicoli andavano facendosi via via più silenziosi. Luise si trovava ora ad attraversare quello che sembrava un quartiere di magazzini, e scivolava silenziosa tra le mura ed i cumuli di legname e materiale vario che stava accatastato ovunque. Andava avanti, i sensi tutti all’erta, consapevole del fatto che in simili luoghi i membri della sua stessa specie erano pericolosi quanto i vampiri.
Svoltato un angolo, infatti, non fu sorpresa di udire rumori di colluttazione giungerle alle orecchie. Abbassandosi, così da nascondersi dietro una pila di casse di legno, procedette cauta, una mano alla cintura, ancora incerta se afferrare il lungo coltello che portava legato alla vita o la pistola. Data l’oscurità, se avesse sparato avrebbe facilmente potuto mancare il bersaglio, ma era anche vero che probabilmente non le sarebbe stato possibile avvicinarsi abbastanza per poter usare un coltello sul nemico.
A denti serrati, scivolò di ombra in ombra per avvicinarsi alla fonte del tumulto. A giudicare dai tonfi, c’era in atto una lotta feroce.
Luise, per principio, si asteneva dall’intromettersi in affari malavitosi che non c’entrassero con la sua competenza primaria, i vampiri, ma per decidere se intervenire o meno doveva prima accertarsi di che cosa stesse accadendo. Quando udì un gemito femminile, corredato dal rumore di oggetti che si sfasciavano, ebbe un momento di titubanza. Poteva comunque trattarsi della vampira che stava cercando? Da come le era stato descritto il suo modus operandi, tutto il trambusto che udiva le sembrava eccessivo. Sempre tenendosi china per far sì che nessuno la vedesse, riuscì ad avvicinarsi a sufficienza – le sarebbe bastato sollevare lo sguardo per vedere la scena, e così fece.
Inizialmente non vide che ombre guizzanti: due persone che si affrontavano nell’oscurità – o meglio, decise dopo qualche istante, una figura (quello che dalla sagoma sembrava un uomo robusto) tentava ripetutamente di afferrare e gettare a terra l’altra - la donna, che tuttavia gli si rivoltava contro, tentando di scampare alla sua presa. La lotta doveva essere andata avanti per qualche tempo, perché intorno a loro erano disseminati diversi oggetti, compresi i resti di una cassa di legno andata in frantumi. Il contenuto era sparso attorno e una miriade di cocci di vetro rifletteva la pallida luce delle stelle. La neve che a chiazze ancora copriva il suolo era macchiata di scuro – sangue, intuì Luise, nonostante il buio ne celasse il colore purpureo.
Qualche attimo dopo, l’uomo ebbe ragione della sua vittima, e la schiaffò senza tanti complimenti contro una parete, il braccio robusto che la teneva sollevata da terra per il collo, premuta contro il muro.

“Devi smetterla con queste idiozie.” sibilò lui, ottenendo in risposta solo un gemito. La donna tentò di scalciare, ma la gonna si mosse appena attorno alle caviglie – doveva mancarle l’aria, ed era probabilmente stremata dalla lotta.
“Ci sono abbastanza prede in questa città per entrambi, ma solo se non ci facciamo riconoscere. Questo è stato il mio territorio per quasi dieci anni, e sono riuscito a non farmi mai scoprire! Poi arrivi tu e lasci che tutte le tue prede vadano in giro a raccontare di come una sgualdrina li abbia accalappiati nei vicoli per succhiare il loro sangue invece che qualcos’altro!”
Senza tanti complimenti, la sbatté a terra. La ragazza – e a Luise non servì cogliere il riflesso ramato dei suoi capelli alla luce delle stelle per capire che aveva ritrovato la vampira della notte precedente – rimase ferma, muovendo appena la testa. L’altro vampiro incombeva su di lei, zanne snudate, concentrato sulla preda che aveva conquistato.
“Le nostre prede devono sparire. Gettale nel fiume, bruciale, sotterrale nei boschi, non m’importa. Non devono raccontare di averti visto!” ringhiò adirato.
La ragazza tornò a muovere la testa - sembrò scuoterla.
“Non voglio uccidere.” mormorò a fatica.
L’altro vampiro ghignò.
“Certo, come no… Ma chi ti credi di essere per concederti questo lusso?”
Sotto di lui, l’altra tentò di alzarsi, ma il maschio la mandò nuovamente a terra assestandole un calcio nel fianco.
“Cosa farai, quando tutti sapranno chi sei e come agisci? Quando anche gli altri vampiri ti daranno la caccia pur di farti sparire e poter continuare a vivere nell’ombra? Questo è l’ultimo avvertimento che ti dò, pazza che non sei altro. Uccidi e liberati dei corpi delle tue vittime. Possiamo convivere in pace, se mi darai retta.”
Improvvisamente, il tono dell’uomo si era fatto quasi suadente.
Il gemito che provenne da lei fu, ancora una volta, di diniego.
“Non ho intenzione di cambiare.”
L’altro rispose con una risata sprezzante.
“Non vuoi cambiare? Hai l’eternità da vivere. Per sempre è un bel po’ di tempo, lo sai? E il tempo cambia le cose, che tu lo voglia o no.” rispose tetro. “Ma forse ti faccio un favore, a toglierti dalle mani del tempo.” commentò gelido, e il momento dopo si chinò fulmineo su di lei, i denti che le ghermivano la gola indifesa.
La giovane vampira, intrappolata sotto un corpo più robusto del suo, stridette dallo spavento. Nella lotta aveva già perso diverso sangue, era indebolita dalle diverse notti in cui aveva potuto nutrirsi solo quel tanto che bastava per mantenersi in movimento, ed ora non riusciva ad opporre alcuna resistenza al nemico che le affondava impietosamente nella gola, cibandosi del battito già debole del suo cuore.
Tentò inutilmente di liberarsi; la presa dell’altro vampiro era troppo salda, il suo fisico troppo ben nutrito e possente per poterlo contrastare ancora. Eppure non voleva andarsene così – si era sempre detta che sarebbe sparita guardando il sole… non sarebbe stato giusto, se fosse dovuta morire senza vedere un’ultima alba…
Improvvisamente, però, le zanne dell’altro non erano più affondate nel suo collo. Si udì un gemito e dei colpi secchi, e poi anche il peso del corpo dell’altro sopra il proprio si dileguò. Aprì gli occhi, tentando di capire cosa stava succedendo, ma sopra di lei ora non c’erano che le stelle ed i tetti dei magazzini. Poi udì altri colpi e storse il collo per guardare.
Il vampiro lottava contro qualcosa, ora, qualcosa che sembrava quasi una solidificazione delle tenebre della notte. Poi i suoi occhi catturarono l’oro pallido dei capelli e le punte metalliche, acuminate del collare che l’altra figura portava attorno al collo, e comprese perché l’altro vampiro fosse così ossessionato dall’idea di doversi mantenere nascosti.
La cacciatrice di vampiri.
Osservò, priva della forza necessaria per scappare, affascinata e spaventata allo stesso tempo, come la figura dal lungo mantello nero affrontava impavida il nemico.
L’odore del sangue del vampiro impregnava l’aria, e il profilo di qualcosa di sporgente dalla sua schiena – il manico di un coltello – fece comprendere il perché alla ragazza che, sempre a terra, guardava la scena ad occhi sbarrati.
Il maschio si era allontanato, ora; ansimante, osservava curvo il suo aggressore, zanne snudate. Colava sangue dai lati della bocca, prova che aveva tentato di azzannarle il collo, rimanendo ferito.
La cacciatrice stava ritta in piedi di fronte a lui, gelida ed immobile. Non emanava il minimo odore di paura. L’aveva colto di sorpresa, affondandogli il pugnale tra le costole, ed ora il sangue che colava dalle labbra del vampiro non era solo quello della bocca offesa dalle punte acuminate del collare, ma anche quello dei suoi polmoni feriti.
Con un ruggito rabbioso, egli attaccò, lanciandosi su di lei con un balzo. Luise fu svelta ad estrarre la pistola, eppure aspettò fino all’ultimo prima di premere il grilletto. Odiava sprecare proiettili.
I colpi furono due, in rapida successione, e mandarono il vampiro a terra, steso sulla schiena e scosso dalle convulsioni, il volto una maschera di sangue che sgorgava copioso dai due squarci sulla fronte.
Lei gli si avventò addosso. Per un attimo, si poté intravvedere il brillio di una nuova lama appena estratta da sotto il nero del suo cappotto, e poi questa affondò nel petto del vampiro, conficcandoglisi nel cuore fino all’elsa.
Metodica, la cacciatrice recuperò il coltello che gli aveva piantato nella schiena. Il petto del vampiro era ormai immobile, ma la lama che vi era affondata avrebbe dovuto rimanere lì, almeno finché il cadavere non fosse stato bruciato e ridotto in cenere, per impedire al suo cuore squarciato di riprendere a battere.

Fu con assoluta calma Luise si voltò, finalmente, verso l’altra vampira. Aveva la pistola in una mano ed il coltello ancora grondante di sangue nell’altra.
La ragazza dai capelli ramati non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua – o meglio, da quanto la sua nuova “non-vita” aveva avuto inizio. Il terrore, che le aveva, fino a quel momento, intorpidito le membra, ebbe improvvisamente il potere di farla rialzare. Subito, si voltò per scappare, ma il proiettile della pistola di Luise la raggiunse, prendendola di striscio ad una gamba.
La cacciatrice maledisse il buio, e la vampira continuò a correre. Questa volta, però, era debole, invece Luise era pronta e concentrata. Mentre la preda tentava nuovamente di sfuggirle scalando un’alta catasta di casse, Luise la raggiunse con ampie falcate. Sparò di nuovo, e il proiettile colpì la fuggitiva ad una spalla, facendole mancare la presa sull’appiglio a cui si stava tenendo. Rotolò giù, urtando malamente le casse e rovinando scomposta al suolo.
Luise la raggiunse, mantenendo la pistola puntata davanti a sé, pronta a sparare. La bruna sollevò su di lei due occhi dorati ed imploranti. Non ebbe il tempo di chiedere pietà, tuttavia: dalla sua bocca uscì appena un gemito scomposto quando sentì un’improvvisa fitta di dolore squarciarle il petto. Lo sparo risuonò tutt’intorno mentre perdeva conoscenza.


~*~


Occhi color dell’oro si spalancarono improvvisamente nella semioscurità della stanza.
C’era un sapore strano nella bocca della vampira – sangue, il suo stesso sangue. Mosse la lingua lentamente, tastandosi le zanne ed i denti. Non provava dolore, solo debolezza e stanchezza. Non aveva bisogno di abbassare gli occhi per vedere che le ferite sul suo petto si erano rimarginate, la pelle candida ed intatta, ora, sotto la camicia che sentiva lacera, il tessuto indurito dal sangue rappreso.
Il suo istinto le diceva che il sole era tramontato da poco, ma era difficile giudicare: la stanza dove si trovava non aveva finestre ed era appena illuminata da una piccola lampada ad olio poggiata su un esile tavolino di ferro battuto. Doveva trovarsi sotto terra, dedusse dall’odore di umidità stantia: uno scantinato, forse. O la cella di una prigione. Una porta di ferro stava sulla parete di fianco, scura come il resto della sala.
Rimase immobile. Anche se avesse voluto, non avrebbe potuto muoversi: sentiva il freddo morso di catene di metallo attorno caviglie, gola e polsi, questi ultimi sollevati ben in alto sopra la sua testa.
“Non provi a liberarti?”
La prigioniera si voltò appena (non le erano consentiti grandi movimenti) per guardare la cacciatrice.
“Sono fatte con una lega speciale. Non sei abbastanza in forze per spezzarle.”
“Ho fame.”
La cacciatrice era di fronte a lei, braccia conserte davanti al petto. Non indossava il suo lungo cappotto, solo dei pantaloni scuri ed una camicia bianca, accollata, stretta sui fianchi e sul petto da un corpetto nero. In queste sembianze più femminili, faceva meno paura, ma la vampira poteva ora contare le armi che le pendevano dalla cintura; indovinò almeno un altro paio di coltelli, poi, i manici che emergevano dagli stivali.
L’altra aveva un’espressione fredda, inquisitrice, ma non arrogante. Non rise né prese in giro la prigioniera per la sua confessione.
“Hai perso molto sangue, ieri notte. Le tue ferite sono guarite, ma sei denutrita.”
La cacciatrice le stava davanti e la osservava come si osserva una strana bestia in cattività, sicura di sé ma a distanza di sicurezza.
“Come ti chiami?” chiese dopo un po’.
“Felicia.”
Un nome buffo, per un mostro – ma la cacciatrice non rise.
“Io sono Luise. Sono una cacciatrice di vampiri, e fino ad oggi non ho mai fatto prigionieri. Uccido tutti i vampiri a cui dò la caccia.” chiarì.
Felicia socchiuse gli occhi. In un certo senso, la donna le aveva salvato la vita, e, finora, aveva dimostrato più pietà dell’altro vampiro.
“Perché?”
“E’ il mio lavoro.” Luise scrollò leggermente le spalle. Era il cadavere di un vampiro che volevano al commissariato, e lei glielo aveva portato – ad essere precisi, aveva consegnato all’ispettore in persona le sue zanne, perché il resto del corpo era stato prontamente bruciato. Non ci sarebbero state altre aggressioni, in quella città, almeno per un po’ di tempo, di questo potevano stare sicuri.
Felicia non osava chiederle perché avesse deciso di lasciarla in vita. Provava un misto di paura e curiosità. La donna di fronte a lei non sembrava crudele, ma aveva appurato quanto potesse essere mortale.
“Io non voglio uccidere nessuno.”
“Sì, ho sentito quando glielo dicevi. Ma non è stata una mossa furba, la tua. Non fosse stato per i tuoi trucchetti, non si sarebbero accorti della presenza di un vampiro nella loro città. Ma se non se la fosse presa con te ieri notte, probabilmente avrebbe continuato a farla franca.”
“Ti sono stata d’aiuto, allora! E’ per questo che mi hai risparmiato?” fece l’altra, in un improvviso guizzo di energia.
Luise la osservò, lo sguardo attento e freddo nelle iridi chiare.
“Non esattamente. O non ancora, se vogliamo.” disse alla fine, un sopracciglio alzato con espressione scettica.
Felicia sembrò abbattersi.
“Mi darai da mangiare?” fece però immediatamente dopo.
L’espressione scettica sul volto della cacciatrice si accentuò.
“Non ti ho portata qui per tenerti come animale domestico. Però ho delle domande da farti.”
“E se fossi troppo affamata per parlare?”
“Allora ti lascerei qui a meditare su quanta fame hai e su come ti sarebbe convenuto sforzarti per rispondermi, invece che tenere tutto per te.”
Felicia corrucciò le sopracciglia.
“Mi nutrirai se ti rispondo?”
Dopo qualche attimo di silenzio, Luise slacciò il pesante bracciale di cuoio e borchie che le copriva uno dei polsi e le mostrò la pelle bianchissima della giuntura. Alla fioca luce della lampada, le vene azzurrognole erano appena visibili, ma Felicia si umettò le labbra con la punta della lingua. La cacciatrice ritrasse il braccio con espressione vagamente disgustata.
“Solo se risponderai alle mie domande.” ribadì.
“E che cosa vuoi sapere?” chiese Felicia, che aveva seguito con lo sguardo la scomparsa del polso nudo dietro la schiena dell’altra donna.
“Devo sapere come sei diventata un vampiro. Chi ti ha fatto, che cosa ti ha fatto.”
L’altra la guardò un po’ sorpresa. “Perché ti interessa?”
“Sono io che faccio le domande. Tu rispondi, e bada di dire la verità.”
Non fosse stata impossibilitata nei movimenti dalle braccia legate sopra la testa, Felicia avrebbe fatto spallucce. Non credeva che fosse una storia interessante.








3. Il racconto di Felicia




The Dustland Fairytale begins
With just another white trash county kiss, in '61
Long brown hair, and foolish eyes.
He'd look just like you'd want him to
Some kind of slick chrome American prince...







“Ero una domestica. Lavoravo nella villa di un nobile signore, ero una delle cuoche delle sue cucine. Non era un brutto lavoro, non potevo lamentarmi.”

Di origini umili, la ragazza aveva avuto fortuna nel trovare una simile occupazione. Mandava i suoi soldi a casa tutti i mesi, e sapeva che i suoi avevano potuto comprare due nuove vacche con il suo stipendio. Inoltre, riusciva sempre a mettere da qualche qualcosa per poter avere una piccola dote – voleva sposarsi, un giorno, Felicia, e vivere in una casa dove avrebbe fatto da mangiare solo per lei e per la sua famiglia. Però, intanto, la vita che conduceva non era male: aveva sempre la pancia piena, la casa del signore che serviva era molto bella ed ogni tanto aveva delle intere giornate di libertà. Da una breve occhiata all’espressione della cacciatrice, tuttavia, comprese che non tutto quello che era avvenuto prima dell’incidente non interessava alla donna.

“Quella notte, avevo un appuntamento. Lui era davvero bellissimo; l’avevo conosciuto pochi giorni prima, mi aveva aiutato a ritrovare la strada di casa una sera che mi ero spinta in una parte della città che non conoscevo. Volevo sdebitarmi, quindi uscii di casa, di nascosto, quando la luna stava già tramontando.”


Saw Cinderella in a party dress, she was looking for a nightgown.
I saw the devil wrapping up his hands, he's getting ready for the showdown.
I saw the ending where they turned the page, I threw my money and I ran away.
Sent to the valley of the great divide
Out where the dreams all hide.
Out where the wind don't blow,
Out where the good girls die.





Aveva indossato il vestito della festa, si era pettinata con cura i capelli ed era corsa fuori nelle strade buie della città verso il suo incontro segreto.

“Ma lungo la strada… incontrai loro.”

Felicia non ricordava le loro facce, ma poteva ancora sentire la stretta violenta delle loro grosse mani introno ai suoi fianchi, sui suoi capelli, il forte odore di alcool e sudore che, insieme al terrore, le aveva quasi fatto perdere i sensi. Ricordava i calci e il freddo dell’aria notturna quando le venne strappato di dosso il mantello.

“Mi portarono nel bosco e lì… mi fecero quello che mi fecero. Poi mi lasciarono per terra. Era freddo, io piangevo e vomitavo e non capivo dov’ero. Avevo male ovunque.”

Felicia si umettò le labbra, tralasciando i particolari. Era la prima volta che raccontava quella storia a qualcuno, ma nonostante ricordasse vividamente l’orrore di quei momenti, era come se stesse narrando dei fatti avvenuti a qualcun altro. Non era quello stesso corpo ad aver subito le violenze, era successo ad un’altra, ed era stato molto tempo fa. Ora, il ricordo più vivido era quello del vestito della festa stracciato e inzaccherato di fango.

“Nel buio, inciampai e rotolai in un burrone. Rimasi lì non so per quanto, non potevo muovermi… dovevo avere qualcosa di rotto. Ero tutta rotta, dentro e fuori.”

Il suo corpo aveva come smesso di funzionare. Non camminava, perfino respirare era diventato doloroso.


Change came in disguise of revelation, set his soul on fire.
She said she always knew he'd come around.





“Poi è arrivato qualcuno. Sapevo che avventurarsi nel bosco di notte era troppo pericoloso, e che solo un folle o un assassino si sarebbe aggirato in quelle zone al buio. Eppure… prima che si avvicinasse, sapevo che si trattava di lui.”

Lui che l’aveva sicuramente cercata, non trovandola all’appuntamento, lui che forse si era preoccupato; non vedendola arrivare, magari, aveva pensato che si fosse persa un’altra volta.

“Quando mi ha sollevato tra le braccia sapevo a malapena distinguere le sue parole. Mi chiese, vuoi che ti salvi? Ed io annuii – non avevo più nemmeno voce per parlare. Me lo ricordo perché so che volevo chiedergli tante cose, ma la gola era chiusa, non potevo emettere alcun suono. Mi disse che stavo per morire, ma che lui mi avrebbe aiutata, se io gli fossi stata fedele. Io annuii ancora, volevo solo riprendere a respirare e camminare, volevo solo tornare a casa, veder sorgere il sole e sentirmi viva. Lui disse che era felice di avermi incontrato, che era come se avesse trovato una figlia – e poi mi morse.”

E dire che quando lui si era chinato su di lei, Felicia aveva pensato, per un attimo, che volesse baciarla!

“E’ stato terribile, all’inizio: il mio corpo continuava a non muoversi, tutto mi faceva male. Mi aveva nascosta in una caverna e io avevo una paura tremenda. Tuttavia, nonostante il dolore dormivo a lungo, e quando mi svegliavo lo trovavo sempre vicino a me: mi nutriva del suo sangue. Mi accostava un braccio alle labbra, ed io succhiavo, ed era assurdo perché nonostante la mia mente mi dicesse che stavo facendo una cosa terribile, il mio corpo ne aveva bisogno, e quella era l’unica cosa che poteva attenuare il dolore. Mi portò anche…” qui Felicia si interruppe ed ebbe paura di guardare la cacciatrice negli occhi.
“Che cosa ti portò?” incalzò lei.
Felicia la guardò timorosa.
“Hai promesso, vero? Mi darai da mangiare se ti dirò la verità?”
“Sì, ho promesso. Va’ avanti.” Ordinò lei.

“Mi portò delle prede. Prede umane. Erano in fin di vita, quando lui le portava a me perché finissi… finissi l’opera.” Guardava a terra mentre raccontava quei fatti, mentre le si inumidivano gli occhi. Si vergognava molto di più a raccontare delle vite umane che aveva preso in quelle notti lontane che non delle violenze subite dal suo corpo mortale.
“Ma non capivo cosa stava succedendo, sapevo solo che avevo fame e che il sangue era l’unica cosa che poteva farmi smettere di urlare per il dolore. Non so quanto tempo passò, ma dopo un po’ cominciai a stare meglio. Mi muovevo di nuovo, ed anzi il mio corpo era più forte di prima.”

Aveva lasciato la caverna per brevi giri, e il suo salvatore aveva iniziato a spiegarle le caratteristiche principali della sua nuova natura. Presto l’avrebbe portata con sé nei suoi viaggi, le aveva detto. Sarebbero andati in luoghi di cui Felicia non conosceva nemmeno l’esistenza. Tutte le sere, dopo essersi svegliata al calare del crepuscolo, lei lo aspettava con ansia: non vedeva l’ora di abbandonare quella grotta.

“A un tratto, però, smise di venire. Io lo aspettai per notti e notti, sola in quella caverna, ma non tornava, e, spinta dalla fame, dovetti infine uscire e mettermi a caccia. Tuttavia non era facile. Finalmente capivo quanto fosse orribile quello che avrei dovuto fare se volevo sopravvivere. Non mi sentivo affatto differente da quegli uomini che mi avevano trascinato via di casa per violentarmi e abbandonarmi nel bosco.”
“Hai ucciso ancora?” chiese Luise, pacata.
Felicia scosse la testa vigorosamente, incontrando la resistenza delle catene.
“Era facile, nei boschi. Trovavo dei viandanti addormentati e mi avvicinavo di soppiatto. Rubavo loro un po’ di sangue e spesso non si svegliavano neppure. Né più né meno che una comune zanzara.” disse lei, sorridendo appena.



And the sky moves slow
I hear the bird don't sing
I hear the field don't blow
I hear the bell don't ring
Out here the good girls die
Now Cinderella don't you go to sleep, it's such a bitter form of refuge.
Why don't you know the kingdom's under siege and everyone needs you
Is there still magic in the midnight sun, or did you leave it back in '61?
In the cadence of a young man's eyes.
Out where the dreams all hide





Lo aveva aspettato per notti e notti, non azzardandosi a lasciare quei boschi che ora le facevano da casa. Aveva paura di tornare in città, di camminare di nuovo in quelle strade dove quegli uomini l’avevano strattonata e picchiata. Avrebbe preferito rimanere a dormire per tutta la notte nella caverna che la riparava durante il giorno, affogarsi nel sonno, aspettando un bacio o un morso, anche se sapeva che, forse, non sarebbero mai arrivati.
Eppure non poteva, aveva troppa fame per rimanersene rintanata tutto il tempo. Fame di sangue, e di compagnia - anche se era solo quella degli animali notturni, che pure un tempo la terrorizzavano, ma la cui presenza ora attenuava la sua solitudine.

“Una sera, però, trovai quelle tracce di sangue. Sapevo che era il suo sangue, l’odore era inconfondibile. Fui terrorizzata. Chi poteva avergli fatto del male? Chi poteva averlo ferito? Lui era troppo forte per essere ferito…”

Felicia aveva improvvisamente compreso che, chiunque fosse stato in grado di fare del male al suo creatore, poteva farlo anche a lei.
Lui doveva essere fuggito, sì, lontano dal suo nascondiglio, per allontanare il pericolo dalla grotta dove lei riposava. Chissà, forse stava tornando sui suoi passi, convinto di aver seminato il nemico, ignaro di come questo, invece, fosse sempre sulle sue tracce. E doveva averlo preso, lì dove il sangue si era rappreso sui coaguli di foglie morte.
Forse l’aveva addirittura ucciso.
Felicia aveva pianto al pensiero – ma no, non poteva morire! Era stato lui stesso a dirle che erano esseri immortali, no? Erano forti e agili, più degli umani, e da quegli stessi umani che le avevano fatto del male lei non avrebbe dovuto temere più nulla.
Felicia era di nuovo terrorizzata.
Fuggì quella notte stessa.
Per la prima volta tornò in città, per lasciare una margherita (il suo fiore preferito) sulla finestra della camera da letto della sorella. Un piccolo segno di speranza e di addio, il suo – che non la piangesse più, la sua cara sorella.

“L’hai più ritrovato?”
Felicia scosse la testa. Per anni aveva viaggiato, fuggendo ed insieme cercandolo. Si era imbattuta in altri vampiri – esseri territoriali, che la scacciavano, a cui non piaceva vedere un nuovo predatore nelle loro riserve di caccia. Aveva vagato e vagato, sola, triste, sperduta, troppo affamata per rinunciare al sangue e troppo spaventata all’idea di uccidere per placare la sua stessa sete.
“Quindi, non hai idea di che cosa possa essergli successo.” la bionda incrociò le mani sul petto. Di nuovo, Felicia seguì con lo sguardo il biancore del polso che spuntava dalla manica della camicia – era più forte di lei, e la fame la stava divorando.
“Allora?”
Felicia alzò gli occhi per ricambiare lo sguardo. “Non lo so. Potrebbe essere stato preso da un altro vampiro.... o da un cacciatore.” rispose pacata.
Luise annuì. “Entrambe possono essere spiegazioni plausibili, immagino. Se te lo stai chiedendo, comunque, non sono stata io. In genere opero in città.” rispose con tono neutro.
Felicia abbassò lo sguardo.
“Deduco che quindi non è molto, quello che ti ha insegnato.”
Felicia scosse la testa. “Ero troppo paralizzata dal dolore, all’inizio, per ascoltarlo. Mi spiegò che dovevo stare lontana dal sole, che dovevo nutrirmi di sangue, di stare attenta agli altri vampiri. Lui sarebbe stato il mio unico alleato, mi disse… e come hai visto l’altra notte, era la verità.”
“Io voglio sapere che cosa siete, perché ci siete. Non ti ha detto nulla, a riguardo?” inquisì Luise, dura.
“Io non so nulla di quello che siamo o del perché! Non so nemmeno perché mi ha resa come lui.” Le voleva bene? Aveva avuto pietà di lei? Questo era quello che Felicia sperava – ma non sapeva che cosa credere. “So solo che mi manca veder sorgere il sole, mi manca la mia vecchia casa e mi manca un letto in cui dormire.” ammise alla fine, quasi sull’orlo delle lacrime.
Tuttavia, la cacciatrice non sembrava commossa da questa confessione.
“Questo non mi è utile in alcun modo.” commentò asciutta.
Felicia la guardò disperata. Utile per cosa? Dal suo punto di vista, la sua era unicamente una storia di abbandono e disperazione. Disperazione anche più grande, se la cacciatrice avesse deciso che, dopotutto, il suo racconto non valeva il suo sangue.
“Posso mangiare lo stesso, adesso…?”
Luise la osservò in silenzio per qualche istante, poi annuì, arrotolandosi la manica della camicia fino quasi al gomito.
Felicia si stava già umettando le labbra, anticipando il caldo sapore del morso, quando si rese conto che Luise aveva tolto la sicura ad una delle pistole che portava in vita. La vampira la osservò con occhi spaventati.
“Un sorso di troppo, e questo è quello che ottieni.” precisò Luise, dura.
Gli occhi dorati della prigioniera ospitavano un’espressione ferita.
“I vampiri mordono per uccidere.” chiarì Luise.
“Non ti fidi di me?”
“Ci sono solo due persone di cui mi fido, la prima sono io, e l’altra non sei tu.” fu la secca risposta.
Premette la bocca della pistola alla tempia di Felicia, e solo dopo le accostò il polso alle labbra. La vampira si avvicinò piano, fremendo d’impazienza, ma cercando di trattenersi. Un proiettile nel cranio non sarebbe stato divertente, no.
Le zanne bucarono la pelle semitrasparente del polso lentamente, la lingua lambì quegli squarci in modo quasi gentile, salvo poi lasciarsi trasportare dalla foga delle pulsazioni che la vampira sentiva premere contro labbra e denti. Il cuore dell’umana pulsava con battiti potenti, era un cuore forte. Il suo sangue aveva un buon sapore – un sapore quasi grezzo, e non odorava di alcol come quello delle vittime da cui aveva attinto ultimamente.
“Basta.”
Felicia rubò un ultimo sorso, prima che la pressione del metallo sulla tempia non la costringesse a ritrarsi.
Di fronte a lei, l’umana sembrava impallidita (anche se, vista la sua carnagione chiara, era difficile da giudicare). Felicia avrebbe quasi potuto giurare di vederla rabbrividire.
“Non sei mai stata morsa da un vampiro, prima d’ora?” fece, a metà tra domanda ed affermazione.
“Solitamente, li fermo prima che possano farlo.” rispose l’altra, punta sul vivo.

No, Luise aveva ricevuto dei morsi di vampiro – ma mai uno di loro aveva bevuto il suo sangue così liberamente, con tale compiacimento. I vampiri l’avevano sempre attaccata per difendersi da lei, e lei li aveva respinti e vinti con altrettanta foga. Mai, però, aveva offerto la sua carne ad un predatore, mai aveva dovuto trattenersi dal premere il grilletto di una delle sue fedeli armi.

“Che cosa succede, adesso?” chiese Felicia in tono sottomesso.
Luise le scoccò una lunga occhiata, e, mentre si fasciava il polso per poi ricoprirlo con il solito bracciale borchiato, parve concentrarsi sulle parole da pronunciare.
“Come ti ho detto, fino ad oggi non ho mai fatto prigionieri.”
Fino ad oggi, tutti i vampiri che aveva incontrato Luise erano assetati predatori, che probabilmente non avevano mai risparmiato la vita di una vittima, nemmeno per sbaglio.
Finito di allacciare il bracciale, tornò a fissare l’altra con sguardo glaciale – non cattivo, solo freddo, inesorabile.
“Alcuni dicono che voi vampiri siete creature del diavolo, altri vi ritengono addirittura angeli del Signore, creature predilette da Dio. Io credo invece che sulla Terra ci sia solo un essere in grado di simili creazioni. Ed è l’uomo.”
Felicia spalancò gli occhi per la sorpresa.
“Io devo sapere, e tu mi aiuterai.” Terminò, avviandosi per lasciare la stanza.
“Però…” Felicia si dimenò appena, per nulla contenta di essere abbandonata alla solitudine di quella buia stanza.
Ma Luise era giù uscita, chiudendosi la pesante porta alle spalle.

La cacciatrice doveva scoprire – che cosa, ancora non lo sapeva, ma non si sarebbe fatta sfuggire una simile occasione. La vampira le sarebbe stata utile, e la cacciatrice era disposta a sacrificare il suo sangue, anche se la cosa le ripugnava, pur di avvicinarsi alla verità.
Perché ciò che era stato fatto dall’uomo, allora poteva dall’uomo essere anche disfatto. O almeno, questa era la sua speranza.



And the decades disappear
Like sinking ships but we persevere.
God gives us hope but we still fear,
What we don't know.

 
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Amelia F. Jones
view post Posted on 6/8/2012, 22:09




Riporto anche qui il commento lasciato in altra sede... con nuovi scuoricinamenti, però U.U ♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥!



In primis, lo stile pulito e scorrevole, lontano da “grossolanerie” di qualsiasi natura: alla correttezza formale va a sommarsi un’ottima gestione dei tempi narrativi (operazione particolarmente complessa, a mio avviso, quando ci si ritrova a dover bilanciare un’alternarsi così serrato fra registri diversi, flashback compresi) e la capacità di riservare il giusto spazio ad ogni scena, all’insegna d’un approfondimento privo di prolissità e d’un ritmo in grado di tenere sempre viva l’attenzione.
Menzione d’onore, per quanto mi riguarda, alle sequenze d’azione (che io non sono capace di scrivere U.U e che, di conseguenza, tendo a studiare con interesse morboso XD), caratterizzate da dinamiche chiare, verosimili e molto d’effetto.

Quindi, la storia.
Personaggi ed atmosfere sono delineati ricorrendo alle stesse, rapide ma efficaci pennellate. Se basta la descrizione dei vicoli in cui s'addentra Luise per figurarsi l’aspetto buio e freddo della città (probabilmente anche sotto il sole di mezzogiorno, in pieno Agosto~), i numerosi riferimenti ad una sfera sessuale di stampo “promiscuo” (il signore apparentemente distinto che si rifugia in un bordello, la violenza subita da Felicia ed i trucchi che questa usa per avvicinare le proprie vittime, le osservazioni volgari del vampiro str*nzo) sono sufficienti a dare un’idea piuttosto malsana della società che la popola; società in cui, ironia della sorte, una delle poche figure capaci di spiccare in positivo è proprio quella d’una vampirella ASSURDAMENTE ADORABILE ♥__________♥.
Felicia è una cosetta biscottosissima, tenera nella sua ingenua fragilità e quasi sexy (come si conviene ad ogni vampira che abbia qualcosa della Lolita) in certi suoi atteggiamenti improponibilmente giocosi… poverella, ‘sta pupetta, così buffa e così triste da apparire come un invito alla malinconia. E poi c’è Luise, la cui voce narrante risulta maggiormente rarefatta rispetto a quella della sua co-protagonista, attenta a tratteggiarne più le azioni che i pensieri, tendendo talvolta alla descrizione fisiognomica: personalmente, trovo si tratti dell’approccio migliore (ed anche uno dei miei preferiti, in generale, quando si parla di prosa) nei confronti di questo personaggio, silenzioso e riservato, nonché dotato d’una forte caratterizzazione visiva.
Insomma, è tutto una dolcezza *.*
 
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1 replies since 4/8/2012, 07:03   26 views
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